Paragrafo estratto dal libro “La Profezia che si Autorealizza. Il potere delle aspettative di creare la realtà”, pag. 87-88. Di Davide Lo Presti, Psicologo.
Effetto Forer: attenzione al mago
“Ciò che vediamo dipende soprattutto da ciò che cerchiamo”
Sir John Lubbock
Nonostante ci piaccia pensare che noi uomini del terzo millennio non ci lasciamo condizionare da simili pregiudizi ottocenteschi e siamo immuni da certe suggestioni di un’altra epoca, occorre ricordare che tutt’oggi certe idee, opportunamente mascherate, sono ben presenti nella nostra evoluta società. Infatti, l’espressione “avere il bernoccolo per” gli affari, o per la matematica ad esempio, residuo della frenologia ottocentesca, è sopravvissuta fino ai giorni nostri e indica l’idea di una predisposizione innata per uno specifico campo verso il quale una persona si ritiene sia naturalmente portata. Solitamente questa frase viene pronunciata da oracoli mascherati da insegnanti che prevedono un futuro roseo per i loro
pupilli, mentre si aspettano una sorte infausta per quelli che hanno etichettato come somari. E molto forte è ancora l’idea della predestinazione e del talento innato, che porta molti, soprattutto alla mezzanotte dell’anno nuovo, a compulsare gli oroscopi per avere numi sull’anno che verrà, o per conoscere le proprie caratteristiche personali in base al segno zodiacale di appartenenza. «I segni di terra sono persone concrete, i segni di aria hanno la testa tra le nuvole», assicura l’oracolo in tv. Il risultato è, ancora una volta, che finiamo per rispecchiarci nelle profezie che leggiamo, facendocene influenzare subdolamente.
La tendenza a prendere per vere le parole degli oracoli, antichi o moderni che siano, è nota in psicologia come Effetto Forer, dal nome dello psicologo che per primo ne ha indagate le dinamiche in maniera scientifica (Forer, 1949). Anche stavolta le cavie dell’esperimento sono state i poveri studenti dello sperimentatore, ai quali fu fatto credere che rispondendo accuratamente agli item di un test di personalità messo a punto dal prof. Forer in persona, il Diagnostic Interest Blank, fosse possibile ottenere un’accurata descrizione del proprio carattere. Così, due settimane dopo la compilazione del test, giusto il tempo di elaborare i risultati, il prof. Forer consegnò a ciascuno studente una busta contenente il profilo caratteriale elaborato a partire dalle risposte fornite. Essendo però il test in fase sperimentale, il docente chiese ai suoi studenti di esprimere con un punteggio da zero (molto scarso) a cinque (eccellente) quanto si rispecchiassero nella descrizione elaborata. Risultato: quasi tutti gli studenti avevano dato un punteggio alto, tra quattro e cinque, con una media di 4,26. Nessuno aveva dato zero o uno. Dunque il test sembrava davvero affidabilissimo.
In realtà però, l’astuto prof. Forer aveva imbrogliato. Infatti, i test dei suoi studenti finirono dritti nella spazzatura, e come profili “personalizzati” utilizzò alcune frasi prese da un libretto di astrologia acquistato in edicola. Il profilo che consegnò loro, identico per tutti, era composto da tredici voci, dove ad esempio la 4 diceva: «Pur avendo alcune debolezze nel carattere, sei generalmente in grado di porvi rimedio»; e la 6: «Disciplinato e controllato all’esterno, tendi a essere preoccupato e insicuro dentro di te»; o ancora, la 12: «La sicurezza è uno degli obiettivi della tua vita». Insomma, si trattava di descrizioni vaghe e sibilline, che però ciascuno studente credendo fossero riferite personalmente a sé ha finito incautamente per prendere per vere.
L’Effetto Forer spiega la naturale tendenza umana ad abboccare a cartomanti e oracoli di ogni tipo, ma anche la facilità con cui ci lasciamo influenzare dalle affermazioni e persino dalle domande che ci vengono poste. Infatti, come dimostra Robert Cialdini (2017), una delle massime autorità nel campo della persuasione, persino il modo in cui è posta una domanda ha il potere di veicolare subdolamente la risposta. Così ad
esempio se in un test o anche nella vita di tutti i giorni ci viene chiesto se siamo «insoddisfatti » delle nostre relazioni sociali, saremo più facilmente portati a rispondere di sì. Allo stesso modo, se invece ci viene chiesto se siamo «soddisfatti», tenderemo anche qui a rispondere affermativamente.
Ciò perché la nostra mente, oltre a prendere almeno temporaneamente per vero quanto viene presentato, tra i vari errori sistematici del pensiero è vittima del cosiddetto bias di conferma, ovvero della tendenza a ricercare convalide piuttosto che confutazioni. In pratica, appresa una qualsiasi informazione, la nostra mente tenderà a selezionare attivamente – e inconsapevolmente – quegli elementi che la confermano, ignorando invece ciò che potrebbe smentirla. Spesso spingendosi persino a evocare dentro di sé le sensazioni suggerite, facendo così la gioia dei tanti oracoli antichi e moderni.
Complice di questo fenomeno è un potentissimo processo cognitivo: l’attenzione, ossia la capacità di filtrare le informazioni che ci circondano.
Abbiamo già avuto modo di constatare questi meccanismi all’azione nelle pagine precedenti. Ad esempio, nell’esperimento della Oak School al lettore non sarà sfuggito che gli insegnanti, appresa la predizione sui bambini magici, dopo averla immediatamente presa per vera, hanno subito iniziato a puntare la loro attenzione sui segnali che confermavano la meravigliosa metamorfosi che si aspettavano. Allo stesso modo Imogene Hill (la maestra di Steve Jobs), Morpheus, e il padre di Amadeus Mozart hanno puntato i loro occhi sulle potenzialità dei loro pupilli, contribuendo così attivamente a farli sbocciare com’era nelle loro aspettative. Ma naturalmente c’è anche il lato oscuro. Ad esempio nel caso dei ton-topi l’attenzione, viziata da un pregiudizio negativo, era rivolta a cercare gli aspetti meno gradevoli delle povere bestioline, facendole addirittura percepire agli studenti come meno simpatiche rispetto ai fratelli super-topi, sui quali erano invece riposte ben altre aspettative.
Come dice Milton Erickson: «Se guardi un giardino puoi vedere i fiori, oppure le erbacce». Il potere delle predizioni sta proprio nel dirigere la nostra attenzione e nell’instillare precise aspettative che finiamo, a causa dei nostri bias cognitivi, per convalidare istintivamente, adoperandoci poi attraverso i nostri comportamenti concreti a far diventare realtà.
Avremo modo nei prossimi capitoli di indagare meglio il funzionamento di questi micidiali meccanismi, visto il loro importantissimo ruolo all’interno del fenomeno della profezia che si autorealizza.
Paragrafo estratto dal libro “La Profezia che si Autorealizza. Il potere delle aspettative di creare la realtà”, pag. 87-88
Davide Lo Presti
PSICOLOGO
Montecatini Terme
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