“La più grande prigione in cui vive la gente è il timore di ciò che pensano gli altri” (David Icke)
Liberi tutti!
Perché avete cominciato a fumare? Come mai state ascoltando proprio quella canzone? Perché pensate che certe cose siano moralmente giuste?
Normalmente ciascuno di noi tende a pensarsi come indipendente, libero dai giudizi della gente o dai condizionamenti esterni. Libero dai pregiudizi, libero dalla massa, libero dal conformismo. Crediamo che le nostre scelte derivino direttamente dalla nostra volontà o tutt’al più dalle nostre emozioni. Riteniamo che a decidere come comportarci sia sempre e solo la nostra coscienza, o comunque qualcosa di interiore riconducibile a nient’altro che a noi stessi. E se anche siamo disposti ad ammettere che qualcuno possa averci influenzati, pensiamo che in definitiva sia stata nostra l’ultima parola, e che le nostre scelte siano espressione solo e soltanto della nostra libera volontà.
Ma siamo sicuri che le cose stiano veramente così? Io dico di no.
Il Dr. Asch e l’esperimento delle asticelle maledette
Gli psicologi sociali ne sanno una più del diavolo. Date retta a me.
L’esperimento che rese (giustamente) celebre il Dr. Asch consisteva nel sottoporre un soggetto a un compito di discriminazione visiva. In pratica venivano mostrate tre asticelle di lunghezza decrescente, in modo che la differenza tra loro fosse facilmente visibile a occhio nudo. Il soggetto doveva riferire a quale di esse era uguale un’altra asticella che gli veniva presentata dallo sperimentatore. Ma fin qui la faccenda sembra piuttosto noiosa. Per renderla più interessante, il diabolico Dr. Asch pensò bene di istruire sette suoi complici a dare una risposta palesemente sbagliata, indicando tutti e sette l’asticella troppo lunga. Infine dispose che il vero soggetto dell’esperimento desse la sua risposta per ultimo.
I risultati dell’esperimento furono sorprendenti: il 75% dei soggetti si conformò al gruppo rispondendo in maniera sbagliata.
Interrogati sul perché del loro comportamento, alcuni soggetti riferivano di rispondere così pur essendo consapevoli di star sbagliando. Di fronte ai complici dello sperimentatore che rispondevano all’unisono in maniera sbagliata, i soggetti dell’esperimento non avevano la forza di opporsi, e trovavano meno stressante allinearsi al gruppo. Anche a costo di andare contro le proprie convinzioni.
Altri invece riferivano di percepire effettivamente l’asticella più lunga come uguale a quella campione. Ciò significa che in questi soggetti il bisogno di conformarsi all’opinione del gruppo era così forte da dar luogo addirittura a una vera e propria distorsione percettiva.
Nonostannte non ci fossero premi o punizioni in gioco, la pressione silenziosa di un gruppo compatto era sentita così forte che la stragrande maggioranza dei soggetti sperimentali non poteva fare a meno di conformarsi, andando persino contro una percezione della realtà autoevidente.
Elettroshock, please
Un brillante allievo del Dr. Asch, il Dr. Milgram, condusse un altro esperimento davvero interessante. Spacciandolo per un esperimento sull’apprendimento (mai fidarsi degli psicologi sociali), reclutò 40 soggetti scelti a caso, tutti maschi, di età compresa tra i 20 e i 50 anni. Il vero fine dell’esperimento era di indagare i meccanismi attraverso cui si genera l’obbedienza all’autorità.
Il compito affidato ai soggetti era il seguente:
1) leggere coppie di parole (ad esempio “scatola azzurra”, “giornata serena”) ad un altro soggetto “allievo” – in realtà complice dello sperimentatore.
2) ripetere la seconda parola di ogni coppia accompagnata da quattro associazioni alternative, ad esempio: azzurra -> auto, acqua, scatola, lampada.
3) decidere se la risposta fornita dall’allievo è corretta.
4) nel caso sia sbagliata infliggere una punizione, che consisteva in una scarica elettrica, aumentando l’intensità della scossa ad ogni errore compiuto dall’allievo.
Le scariche elettriche andavano dai 15 volts ai 450 volts. Siccome però gli psicologi sociali sono sadici, ma solo fino a un certo punto, le scariche elettriche non venivano inflitte per davvero, e il complice dello sperimentatore simulava dolori via via crescenti all’aumentare del voltaggio.
Milgram rilevò che ben il 65% dei soggetti era disposto a dare scosse elettriche fino a 450 volts a un’impotente vittima che non aveva fatto nulla per meritare tale pena. E questo nonostante lo sperimentatore, nei casi in cui i soggetti si facevano degli scrupoli a infliggere la punizione, si limitasse semplicemente, con tono calmo e sicuro, a esortarlo in maniera blanda con frasi tipo: “continui per favore” o “è assolutamente indispensabile che lei continui”.
L’obbedienza all’autorità, in questo caso lo sperimentatore in camice bianco (ovvero il diabolico Dr. Milgram), era sentita dai soggetti come “dovuta”; anche se in realtà essi avrebbero potuto abbandonare l’esperimento in qualsiasi momento. Tuttavia disobbedire avrebbe creato in loro una condizione fortemente ansiogena. Ciò dimostra come esista in noi una predisposizione a obbedire all’autorità.
L’unione fa la forza. (Ma anche no)
Il bisogno di appartenere a un gruppo è fortemente radicato in noi. Esso si è dimostrato evolutivamente vincente, permettendoci in epoche remote di aggregarci ai nostri simili in modo da beneficiare dei vantaggi che lo stare in un gruppo comporta: protezione, cibo, trasmissione delle conoscenze, party notturni & maggiore possibilità di riprodurci. Chi era privo di questo istinto molto probabilmente si è trovato tutto solo a sfidare un leone. Ed è morto sbranato. Senza trasmetterci i suoi stupidi geni.
Altrettanto importante è l’obbedienza a figure che rappresentano l’autorità, poiché esse di solito possiedono conoscenze o competenze che si rivelano utili per gli altri. Pensiamo ai medici, poliziotti, insegnanti etc.
Le prime figure autoritarie che incontriamo nella nostra vita sono i genitori: da essi dipendiamo totalmente e, tranne che in rari casi, non vogliono altro che il nostro bene. Per questo motivo siamo abituati a fidarci, a mostrare deferenza e ad obbedire all’autorità.
Tuttavia c’è chi sfrutta abilmente questi nostri istinti per fregarci (strano, vero?).
Così il gruppo può esercitare delle pressioni – di cui noi possiamo anche non accorgerci coscientemente – trascinandoci a compiere azioni che in tutta sincerità non appoviamo, o a fare scelte che altrimenti non faremmo. È un’influenza silenziosa e pesante, ingombrante e minacciosa: il ricatto occulto dei molti. Fra le manipolazioni è la più insidiosa, la più difficile da riconoscere perché è capace, come abbiamo visto nell’esperimento del Dr. Asch, di creare delle distorsioni percettive, dandoci l’impressione che siamo noi stessi a decidere liberamente.
A tal proposito scrive Paul Watzlawick:
“Come Asch rivela, il fattore più spaventoso della resa cieca dei suoi soggetti è il desiderio profondo e radicato di essere in accordo con il gruppo. La premura di cedere la propria indipendenza, di rinunciare all’evidenza dei propri sensi per poter avere la soddisfazione tranquillizzante nonstante la deformazione della realtà, di sentirsi in armonia con il gruppo, questa è la sostanza che alimenta demagoghi e dittatori” (1976, pag. 85)
Alcuni possono anche sfruttare la nostra tendenza a obbedire all’autorità (chi l’avrebbe mai detto?) al fine di manipolarci, di limitare la nostra libertà , di usarci per fini che non ci interessano o che addirittura vanno contro i nostri personali interessi o contro il nostro sentire. Ma quest’ultimi sono più facili da riconoscere: di solito vengono chiamati “leader carismatici”.
Un consiglio spassionato: statene alla larga.
PSICOLOGO
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Autore dell’articolo: Dr. Davide Lo Presti – Psicologo
Ordine degli Psicologi della Toscana. Iscrizione all’Albo N°6319
Tel: 346. 76.48.810
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Riceve a Montecatini Terme (PT)