«Quando io uso una parola», disse Humpty Dumpty in tono alquanto sprezzante, «essa significa esattamente quello che decido io … né più né meno.»
«Bisogna vedere», rispose Alice, «se lei può dare tanti significati diversi alle parole.»
«Bisogna vedere» replicò Humpty Dumpty, «chi è che comanda… ecco tutto.»(Lewis Carroll, Alice Attraverso lo specchio,1871)
Dal suono alla parola
Il linguaggio verbale è certamente lo strumento di comunicazione umana più importante. La sua evoluzione, a partire dai più semplici suoni onomatopeici, ha permesso di esprimere complicati concetti astratti e di condividerli con individui della stessa specie, contribuendo così a creare le prime tribù umane. Se tuttavia il rapporto tra un suono onomatopeico e il suo significato è evidente, appare molto più misterioso il rapporto tra significato (il senso della parola) e significante (il suono o il segno) nelle parole che usiamo comunemente. Non c’è nulla infatti nella parola “albero” che ci indichi una pianta, o nella parola “casa” un’abitazione. Persino un’accurata analisi etimologica delle parole lascia irrisolto questo mistero, rivelando l’arbitrarietà insita nel linguaggio.
Ciò su cui però possiamo contare è che il significato delle parole sia condiviso. Poco importa se dico “casa”, “home”, oppure “weehindjgreygfvfr” per indicare un’abitazione, l’importante è che anche per i miei interlocutori a tale significante corrisponda lo stesso significato che io gli attribuisco. Ma, mentre tale accordo è relativamente facile da raggiungere per le parole che indicano oggetti concreti, risulta molto più complicato quando ci troviamo di fronte a parole che designano concetti astratti come “libertà”, “pace”, “amore” ,“peccato”, “bene” etc… In questi casi la negoziazione di significati rappresenta, nella comunicazione umana, più la regola che l’eccezione.
La fabbrica delle parole
Sarebbe un errore considerare le parole e i loro significati come qualcosa di statico. Infatti, accanto al significato ufficiale delle parole che troviamo nei dizionari, esiste un significato privato, una coloritura emotiva che ciascuno di noi proietta sulle parole in base alla propria esperienza personale. Inoltre, il linguaggio umano si rinnova di pari passo con i cambiamenti sociali, adattandosi al clima politico, morale e culturale di una data epoca. Le parole somigliano quindi più a dei contenitori elastici, malleabili, adattabili alla sensibilità dei tempi, piuttosto che a delle forme fisse.
I mezzi di comunicazione di massa rivestono un ruolo di primaria importanza nella costruzione e diffusione di significati; non solo per quanto riguarda la ridefinizione delle parole, ma anche per la decodificazione stessa della realtà. Come notava J.L. Borges: << Stampando una notizia in grandi lettere, la gente pensa che sia indiscutibilmente vera >>. Attraverso la narrazione dei fatti, i mass media propongono un modo di percepire la realtà, imponendo valori, suggerendo visioni del mondo. Non a caso i gruppi politici da subito si sono serviti dei mezzi di comunicazione di massa per creare consensi. Ciò appare in modo manifesto soprattutto nelle dittature, dove attraverso la propaganda il regime manipola pesantemente e metodicamente la narrazione dei fatti per volgerli a suo favore. Nelle democrazie moderne invece tale meccanismo si rivela in forme più sottili e sofisticate, ricorrendo a elaborate finezze linguistiche.
Una parola dentro una parola: il Re fa rullare i tamburi
L’esempio più eclatante, che non sarà sfuggito neanche ai meno smaliziati, può essere la campagna sulla “missione di pace” del governo Bush, dietro la quale si celava in realtà un’azione militare contro l’Afghanistan. In questo caso le parole non servono più per descrivere, ma per persuadere. Attraverso la manipolazione delle parole, un significato viene alterato proponendone al suo posto uno più accettato dalle masse: la parola “guerra”, che ha una connotazione nettamente negativa, viene sostituita con la parola, più rassicurante, “pace”. In questo modo la campagna del governo Bush può utilizzare tutti i temi associati al frame “pace”, cioè tutte le parole da essa evocate, come ad esempio “bene”, “serenità”, “armonia”, “felicità”, “sicurezza”, facendo così breccia sulle emozioni positive della gente.
Per chi si chiedesse se tale manipolazione sia etica, se cioè non sia un imbroglio attribuire << tanti significati diversi alle parole >> beh, anche i bambini lo sanno: << Bisogna vedere chi è che comanda… ecco tutto. >>
Davide Lo Presti
PSICOLOGO
►Autore del libro: “La profezia che si autorealizza. Il potere delle aspettative di creare la realtà”
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Autore dell’articolo: Dr. Davide Lo Presti – Psicologo
Ordine degli Psicologi della Toscana. Iscrizione all’Albo N°6319
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